sabato 26 marzo 2011

Eden perduto (nostalgia che mi porti via)


Eden perduto

nostalgia di te,
sfogliarti come un libro, ancora,
pagine profumate di carta sconosciuta,
e infinite dita che le hanno carezzate,
ancora, la brama giunge al sol pensiero.                          

nostalgia è l'idea del piacere trovato e perduto,
incalzato dal desiderio,
e dai sublimi miraggi che giungono,
accarezzano l’anima con mani ferme, sicure,
e unghie che lasciano i segni di un’assenza vitale.

e ancora, il respiro, l'affanno e l'idea di te,
la forma della tua forma sulla mia, intorno a me,
e l'anima mia ride,
e si diletta al piacere di averti avuto,
carnale ed etereo, amico solitario e lontano.

piango e sorrido, il corpo si inquieta,
mani che vagano e cercano, trovano e prendono,
baci e sorrisi, baci, baci,
arriva all'improvviso come un orgasmo inatteso,
eccola, amore, sapore, odore, e tremore: nostalgia.

poi piano si scioglie,
fiume che sfocia nella verde pianura di pace,
ancora il cuore batte e la mente ricorda,
la gioia, il piacere, la cura, l'amore,
e riparte in cerca del dolce intendimento
delle anime affini,
eterna ricerca dell’eden perduto.

Nicoletta Stecconi

lunedì 21 marzo 2011

L'amore al tempo dei peperoni

Racconto pubblicato nell'antologia 'In cucina' della Giulio Perrone Editore
L’Amore al tempo dei peperoni


Quando ho bisogno di distrarmi devo fare qualcosa di impegnativo, usare le mani e la testa in un unico senso di marcia, creando qualcosa che ridesti il piacere di vivere.
Ho bisogno di scacciare dalla testa la tua presenza ingombrante che oggi non porta niente di buono.
Ho acquistato verdure di ogni tipo e gli odori, da dosare con armonia affinché la pietanza sia equilibrata. E per la cottura, l’alternanza di fuochi alti e bassi è il vero segreto.
Alti e bassi, le emozioni che mi abitano quando vivo te. La tua assenza costante lascia intatta la mia libertà. Alcune volte  ne gioisco, donna emancipata; altre invece impazzisco, animale in cattività.
Osservo i peperoni nel forno, sono gialli e rossi e verdi, hanno iniziato a scurirsi, ma non sono ancora pronti, hanno bisogno di tempo, ancora.
Ogni cosa ha un tempo suo. Oggi non è tempo per me, i miei pensieri sono ancora acerbi o troppo maturi. Non sono ancora pronta per finire  o proseguire questa storia delirante…
Sto bollendo i fagiolini, poi li condirò aggiungendo la menta raccolta in giardino, quella che cresce spontanea accanto al limone, godendo ogni giorno della sua indispensabile ombra.
Sono la tua menta, godo della tua ombra senza accorgermi che questa è diventata, ormai, frustrante dipendenza: per quanto possa estendermi, le mie foglie non arriveranno mai ad intrecciarsi con i tuoi rami.
Verso le zucchine nell’olio piccante, e poi i pomodori pachino, sanguigni e veraci, talmente belli da far sognare il sole fertile e onesto della Sicilia che li ha maturati, poi una spolverata di sale. Il pomodoro appena scottato, con il sale non ancora sciolto, è tra i sapori che amo. Lecco il cucchiaio concedendomi questo piacere salato.
Un amore segreto è  il sale della vita, amore  lunare, consumato in camere d’albergo, salato eccome, piccante, che tuttavia mi lascia sempre uno stremo di sciapa amarezza.
L’olio è piccantissimo e l’odore che ne viene è appetitoso. Quando mi dedico a quest’arte i profumi dei cibi in cottura, dapprima stuzzicano l’appetito, poi man mano lo calmano, quasi saziandolo.
Non accade con te, maledizione! Non basta il tuo odore a saziarmi. Vorrei ogni volta assaggiarti per poi divorarti voracemente. Davanti a tutti, e confessare all’intera umanità la mia solitaria  natura di lupa, avida di te.
Affetto i pomodori adagiandoli su un piatto di rucola, li accompagnerò con la mozzarella di bufala e foglioline di basilico; nel frattempo apro una scatola di fagioli, quelli di tipo messicano, già piccanti perché provenienti dal sud del mondo, caldo ed invitante. Preparo un sugo con un trito di odori e peperoncino. Sarà la salsa densa e profumata che li accompagnerà.
Sul fuoco alto aspetta la griglia rovente liberando un fumo aromatizzato come se, nel vapore che sprigiona ogni volta, conservasse il proprio passato.
Sono griglia anch’io, e il mio corpo scaldandosi esala ogni volta la sostanza eterea delle tue ultime carezze. Contatti furtivi, eppure così indelebili nell’odore che non mi abbandona mai.
Sciacquo le melanzane, notando come la forma e la consistenza donino piacere già al tatto. Una volta grigliate, le bagno con l’olio e ci verso un trito di aglio e prezzemolo. Saranno più buone nei prossimi giorni, se solo avessi la pazienza di aspettare che si insaporiscano per bene.
Un incontro rimandato porta con sé il piacere dell’attesa, insaporita dal desiderio portato alla lunga e dalle fantasie dell’indugio, peccato che la smania di possesso spesso privi gli umani di questa delizia.
Dalla finestra entrano i rumori del pomeriggio, suoni quasi silenziosi. Nel quartiere c’è poca gente e di rado passano macchine, fa caldo e sudare mentre cucino mi rende viva come non mai. Esco in giardino e non sento altri odori provenire da case vicine. L’aria profuma della calura di agosto, una fragranza che sa di malinconia. Rientro velocemente accorgendomi che, invece, in casa regna un miscuglio di odori felici.
La felicità d'estate è cuocere le verdure.
La mia consolazione d’ agosto, è cucinare per amici cari… visto che tu non ci sei, non mi cerchi, tu lontano dal mio corpo, io fuori dai tuoi pensieri.
Tra un po' avrò diversi piatti sul tavolo, profumati e piccanti.
Quando devo distrarmi ho bisogno di fare qualcosa del genere.
Oggi ci sono riuscita.
Nonostante la malinconia: ora tu non sei più tu ma lui, ed il suo pensiero è meno insistente, rarefatto, disperso.
Tra un po’ arriveranno gli amici con i quali non ho segreti, da sempre.
Racconterò loro di come il mio cuore sia preso da quest’uomo che non mi appartiene, che mangia in un’altra cucina e dorme in un altro letto abbracciando un’altra donna.  
Rivelerò loro la mia pena, davanti alla buona bottiglia di vino che porterà Francesca, che di vini se ne intende.
Ci racconteremo cose con l’anima in mano, come accade di solito tra chi condivide una tavola piena di cibi e bontà e complicità e sguardi che confortano più delle parole.
Poi finiremo la cena con il dolce preparato da Piero.
Infine fumeremo qualche sigaretta perché d’estate c’è più gusto a fumare, all’aperto, come a mangiare, a parlare seguendo l’eco delle voci in un quartiere desolato di una città abbandonata, in una notte condita di stelle cadenti.
Serafino ci racconterà del suo ultimo viaggio ed Arianna del suo ennesimo licenziamento.
E si riderà, perché con loro si ride sempre, anche quando si è tristi.
Quando andranno via il mio cuore sarà più leggero.
D’estate la felicità è fatta di delizie dell’orto e deliziosi amici che ti comprendono senza mai giudicare, perché nell’esercizio del proprio vivere, conoscono bene l’ineluttabilità della vita.

Nicoletta Stecconi

Ispirazione

Ho bisogno di catturare quel filo, finché continua a sfuggirmi
le immagini svaniscono,le parole muoiono, le fantasie scolorano.
Devo acciuffare quel filo che si prende gioco di me,
si affaccia sovente dalle pagine dei libri,dagli istanti rubati,
dalla magia delle storie raccontate,dalle espressioni della gente comune,
che eppure lo sa come gira la vita.
 
Devo prendere quel filo e tenerlo stretto tra le dita,
attorcigliarlo intorno ai polsi, legarmi le caviglie,
passarmelo in bocca, sulla lingua, tra gli occhi,strofinarmelo nelle narici,
sensazione che continua a sfuggirmi, legarmi a quel modo che altrimenti mi fugge.
Poi trovare quel subbuglio interiore che porta a suonare i pensieri,
devo aggrapparmi a quel filo, annodarlo su in cima
e salire più in alto, fino a quando guardare in basso è come volare.
 
Chiudere gli occhi e riaprirli, appesa a quel filo sottile, mi volto,
ti scorgo, ti soffio intorno, ti lecco, ti lego a me, quel filo resiste,
finalmente l'ho agganciato con cura, avverto ora i miei pensieri.
 
Immagini, parole, il moto dell’universo, il rumore del silenzio, la quiete del caos,
sono davanti allo specchio e mi osservo nello squarcio dell’anima mia,
scorgo quello che i sensi non osano mostrare, ciò che non è bellezza ma autenticità.

Tiro il filo, ormai mi appartiene, mi lega, mi cura, sussurra poesie.
Spegnere i sensi e ascoltare con l’anima, ora lo sento che torna alla luce,
le parole si sciolgono, le idee fioriscono.
 
Ma il filo, traditore, approfitta della distrazione e mi lascia cadere,
lontana dalla cima, lontana dai sensi, lontana dallo scompiglio interiore,
lontana dalla mia stessa natura, ora guardare in basso è come morire.

Nicoletta Stecconi

Pensiero mio lontano

Il pensiero mio lontano da te
mi rende
fredda
indifferente
nervosa.

Tutto ciò che mi circonda lo sente
le pareti della mia casa sono sporche
la gente stizzita
il cielo si tinge di scuro
un vento potente spazza via gli sguardi gentili.

Il mio uomo mi abbraccia la notte
come fossi un peluche
e non come la sua bambola di carne preferita
io dormo, e non sogno.

Le parole fanno fatica ad uscire
non ho voglia di sorridere
la gente non mi guarda negli occhi
le mie pupille sono vuote
la bocca non ha respiro ma sete.

Il pensiero mio lontano da te
mi tiene distante da me stessa.

Nicoletta Stecconi

venerdì 18 marzo 2011

Ragnatele invisibili

Parole vaganti come mine
pizzicano corde profonde
smuovendo inaspettati suoni.
La parola scritta ha un immenso potere
quello di tracciare ragnatele invisibili.
Un pugno in pieno stomaco
e quel che rimane
è un’insospettabile inquietudine.
Non posso far a meno di esprimere
quest’ansia crescente
che mi porta a scrivere ancora.
L’impronta della parola mi scava dentro
mostrando l’anima mia
all’altrui sconosciuto sguardo
senza veli e pudore.
Voglio scrivere ancora
e ancora e ancora.

Nicoletta Stecconi

domenica 13 marzo 2011

leggi le recensioni

http://www.libro-mania.com/
leggi e condividi...
perchè la cultura è pane e leggere è la capacità di saperlo apprezzare!
e perchè no... racconto finalista al premio 'Donna 2010' pubblicato su antologia Marel
hanno scritto di lui:

'Un io vorace dei presente e saturo di passato la figura che emerge da questa originale vicenda di indubbie qualità percettive ed emozionali, il cui itinerario accoglie la sfida di sempre e nuove vivifiche metamorfosi. Anche la scrittura si profila come fuga di un io braccato dal tempo.'
(... grazie ad un lavoro teatrale, ed alla mia musa ispiratrice.., grazie)

OFELIA

Dal testo teatrale ‘HAMLETMACHINE’ di Heiner Muller.
Monologo di Ofelia:
Io sono Ofelia. Quella che il fiume non ha trattenuto. La donna con la corda al collo. La donna con le vene tagliate La donna con loverdose. SULLE LABBRA NEVE. La donna con la testa nel forno a gas…”

E di una donna che ne fu ispirata...

Crepuscolo: il cielo è grigio, plumbeo, fumo biancastro esce dai tombini e dai comignoli, Ofelia si guarda intorno, tutto è gotico anche l’aria che respira. Sguardo perso, non sa in quale dimensione temporale si trovi, se in un passato dimenticato o in un avvenire futuribile. Un corpo dalle forme perfette, coperto appena da abiti succinti di pelle nera, si muove in un vuoto circondato da rifiuti, tacchi esagerati echeggiano mentre due gambe lunghe calpestano macerie e cenere.
Vista da lontano sembra essere molto bella. Vista da vicino, invece, quel corpo appare consumato da un’angoscia atavica: il collo è segnato dalle innumerevoli corde che lo hanno stretto, le braccia mostrano segni di tagli insani. Il trucco è calato a causa del fiume in cui lei si getta ogni giorno, il colorito è cianotico per il gas inalato ogni notte. Ha in mano una siringa con la quale si inietta dosi di preparati chimici alle quali nessuno è mai sopravvissuto.
È questo l’incantesimo in cui Ofelia si muove da sempre, una donna bella dalle labbra di un bianco spaventevole.
Ad osservarla bene non sembra più una sola donna, ma tutte le donne nella statica condizione di un’esistenza sciupata, comunque donna e pertanto custode di una forza insospettabile.
Ieri ha spezzato il sortilegio, e oggi è nata.

Getta via la siringa e, accarezzandosi le braccia, le lecca per sanarne le cicatrici. Si liscia il collo e per coprirne i segni lo avvolge in un foulard rosso (oh buffo, è l’unico colore che spicca!) Si rifà il trucco e le labbra riprendono il colore delle ciliegie (un altro tocco di colore!).
Si eleva in tutta la sua altezza, i vestiti non sono più grotteschi ma semplicemente femminili, stendendo la gonna si sfiora le cosce che sente di amare, come il suo corpo tutto, che adesso chiede amore e comprensione, rinnegando la negazione con la quale si è straziata per secoli. Si abbottona la camicetta sfiorandosi i seni che scopre fatti di linfa vitale. Si sfiora il grembo, in basso, sa che è lì che è custodita la vita.
Guardandosi attorno finalmente i suoi occhi stanano la prigionia di cui è stata vittima, e un pensiero prende forma: è ora di cambiare la propria storia che l’ha vista protagonista immobile in una morte reiterata dell’anima e del corpo.
Si guarda allo specchio e nell’occhio si intravede un luccichio fulmineo, la bocca è disegnata in un ghigno di rivalsa. E’ lì che la sua prigione viene definitivamente annientata. Finalmente senza più porte entra la tramontana e lo scirocco e il grido muto di tutte le donne che poco alla volta prende voce. Ofelia, adesso più che mai, è una creatura universale, l’anima illuminata delle donne che nutrono il mondo. La coscienza femminile del cosmo.
Che importa se le mani sanguinano, hanno aperto finestre sul mondo. Ne ha versato di sangue invano finora, adesso è sostanza di liberazione che sgorga direttamente dall’anima ad alleggerire la cancrena del passato, il conato del non vissuto.
Che lo sappiano tutti gli uomini per i quali il suo cuore ha dovuto battere a tempo, come un orologio al quale non è concesso sforare. Uomini ai quali si è data e non solo nel corpo, ma attraverso tutto quel banale quotidiano mestiere di donna che le ha sottratto la forza.
Dà fuoco a quel che rimane e dalle ceneri nasce una nuova consapevolezza il cui cuore non sarà più obbligato a battere il tempo concesso dagli altri.
Adesso batte il proprio, e in tutte le forme possibili, libero.
Un’ultima immagine mostra una Ofelia bellissima e consapevole che cammina sull’asfalto, lasciando dietro di sé, in un’atmosfera fumosa, le macerie delle sue vite sprecate e dei suoi inutili decessi, consumati nel corso dei secoli.
Eccola, infine, sorridente, con la mano sollevata ed un inequivocabile dito medio alzato, rivolto a chi la osserva.

La mia mano si ferma titubante, sentendosi ormai ostaggio di questo assurdo personaggio al quale riconosco una forza incontrollabile... non è così che volevo chiudere il fumetto, quel gesto mi appare volgare, eppure non trovo un finale che mi soddisfi di più, la mano non intende cambiarlo.
Sussurro gli ultimi versi di Heiner Muller ai quali mi sono ispirata in quest’ultimo lavoro:

“Ieri ho smesso di uccidermi... Faccio a pezzi gli strumenti della mia prigionia.... Distruggo il campo di battaglia che era la mia dimora. Strappo le porte perché possa entrare il vento e i1 grido del mondo. Mando in frantumi la finestra. Con le mani insanguinate strappo le fotografie degli uomini che ho amato e che mi hanno usato… Do fuoco alla mia prigione. Getto nel fuoco i miei vestiti. Mi strappo 1'orologio dal petto che era il mio cuore. Esco sulla strada vestita del mio sangue.”

Chiudo le bozze, qualche ritocco e saranno pronte per la redazione. Davanti allo specchio mi osservo: quello che vedo è una quarantenne dall’aspetto pacato, qualche ruga e qualche chilo di troppo… non sono mai stata bella, ora meno che mai.
La mente già viaggia verso i giri ad incastro che dovrò fare per recuperare i figli, e poi la spesa, la cena. Mi sento già stanca all’idea ma sorrido, è da poco che la mia vita ha ripreso a girare, i figli sono grandi soddisfazioni, e disegnare fumetti è il lavoro che mi dà da campare realizzandomi appieno.
Ogni volta che inizio a tracciare una storia mi sembra proprio di viverla.
È così che ho ricominciato a sognare, nonostante le delusioni, i compromessi e la fatica di crescere tre figli da sola, dopo essere stata lasciata da lui, per quella donna più giovane…
Sorrido davanti allo specchio: la vita è un gioco le cui sorti, talvolta, ci è dato di scegliere, proprio come una mano che, armata di matita, sceglie il finale di una storia guidata soltanto dal canale interiore della creatività.
Mi osservo ancora, e scorgo negli occhi un luccichio inconfondibile.
Scendo in strada senza più temere di sfoggiare il rovescio dell’anima mia mentre i pensieri già sognano la prossima storia da disegnare.
Camminando incrocio gli occhi attenti di un uomo, passo oltre, mi volto, lui mi segue con lo sguardo, mi sta osservando dentro, gli piace quel rovescio insolito.
Libera per la strada, sotto quello sguardo interessato, mi accorgo di aver ricominciato ad amare la vita.
Il mio nome è Ofelia.
Racconto finalista al premio 'Donna 2011' pubblicato sull'antologia Marel
hanno scritto di lui:
'Da un'esperienza vissuta nella terra dei desaparecidos dove le donne vestono di nero la perdita dei propri figli, l'autrice esprime con un'emozione forte e intima, la passione interiore e intensa del tango argentino che è congiunzione di una coppia in una sola persona attraverso il movimento dei corpi. La tristezza del ricordo struggente pervade il brano, ma anche la felicità di aver conosciuto una persona di valore inestimabile, il cui ricordo poi diventa strazio per il definitivo addio... '
(e di questo mi ritengo soddisfatta.. ovviamente, grazie!)


Rosso tango, rosso sangue

-       Balla con me, Maria, è un tango nuevo.

Tango, musica meravigliosa di colore rosso. E i miei diciotto anni appena. In Argentina c’è lavoro, c’è ricchezza, dicevano. Il lavoro c’era, la ricchezza un po’ meno. Mio padre lavorava duro, mia madre badava a noi. Andavamo avanti, forse meglio dell’Italia. Ma era dura veramente. Io imparavo lo spagnolo, insieme alle mie sorelle. Analfabete in una lingua nuova, in un paese diverso che ci spaventava. Ci colse impreparati il golpe. Non ce l’aspettavamo. Da poveri immigrati non seguivamo le vicende politiche di quel paese. La guerra sporca, la chiamarono. Sporca di sangue e di silenzio.

-       Maria, segui i miei passi, è un tango nuevo ma si balla come il classico.
-       Sì… lo so. So ballare il tango.
-       Scusami,  ti ho visto esitante.
-       È questa musica, mi fa pensare all’Argentina.

Suona, il tango nuevo. Intermezzi elettronici e una musica antica che mi fa nuova. Dentro mi percuote un eco lontano. Ballavo con Jorge sulle note di un tango. Gli occhi suoi scuri piantati nei miei. Nello sguardo teneva tutto il suo ardore. Gli vedevo scorrere la vita dentro. I suoi occhi esprimevano tutta la forza del creato. E poi tango. La nostra schermaglia amorosa. Non era solo danza, era il corteggiamento ancestrale delle nostre anime ... Era bello Jorge, bello come la notte. Di notte lo hanno portato via.

-       Maria sei bella, così presa da questa musica e balli bene.
-       Anche tu balli bene.
-       Io ho imparato da qualche anno ma mi sento ancora impostato, tu invece sei libera, sei dentro alla musica, tu … il tuo corpo vola, anche se i pensieri sono pesanti.
-       È che non è solo danza, né solo musica. Era un modo di vivere, vivere con lui...

Jorge mi aveva avvertito, stanne fuori diceva. Tu non devi entrarci, siete italiani e siete qui da poco. Sono i figli di questo paese che cercano di spezzare. Ma non interessava loro che fossero argentini. Bastava un sospetto. Di notte, via. E poi niente più. Scomparsi. Desaparecidos, in quella lingua che nel frattempo aveva preso a circolarmi nelle vene più del mio stesso sangue. E noi in fuga. Mio padre me lo aveva detto. È pericoloso, bambina mia. Fuggimmo nel rosso di un tramonto che bruciava i campi, ai confini del mondo.

-       Maria, ti sei intristita? Pensi alla tua vita in Argentina?
-       Scusami, sì …
-       Mi dispiace, ci fermiamo se vuoi.
-       No, non voglio fermarmi, fammi ballare Alberto, cercherò di non pensare … fammi volare Alberto.

Impossibile non pensare. Ballavamo a casa sua. Mio padre non voleva che lo vedessi. Non dare confidenza ai ragazzi argentini, è pericoloso, mi diceva. Ma lui era Jorge, non solo un ragazzo argentino. Era il rovescio dell’anima mia. L’altra faccia della mia luna nel gioco appassionato del tango. Vieni a casa mia balleremo, poi rimarrai da me, mi aveva detto. Io avevo semplicemente obbedito al destino. Ballando quella danza eterna e amandolo quella notte come se fosse l’ultima.

-       Maria, i tuoi occhi … cosa hai dentro Maria?
-       Alberto in Argentina ho lasciato la mia prima vita e non c’è cosa peggiore del non conoscerne il perchè … ma se dimentichi di chiedertelo, allora non è valso a nulla, e tutto può succedere ancora.
-       Hai ragione Maria...

I mondiali di calcio. Sembrava tutto normale. Così va il mondo, pensavo, mentre tutto ciò accadeva. Era storia, la maledetta storia che scrive l’uomo con le dita sporche di sangue. E gli eventi tragici ricoperti dalle pagine patinate dello spettacolo. Il boato degli stadi copriva le urla delle madri defraudate dei loro figli, e i sospiri solitari delle giovani derubate dei loro amanti. I colori più svariati delle squadre ospitate a sovrastare l’unico colore che era rimasto alle donne argentine, il nero del lutto.

-       Maria, balla con me adesso, non pensare ad altro.
-       Sto ballando con te Alberto...

Jorge. Mai morto, solo scomparso. Ecco perchè ancora presente. E nessuna rassegnazione. Solo una lacerante impotenza. Nemmeno giustizia. Non esiste un tango senza di lui. Nella nostra breve storia d’amore, lui ed io. Era il tango che ci univa in un gioco sensuale più di qualsiasi amplesso. E adesso a ballare questo tango, che mi fa nuova, siamo in tre. Io, tra Alberto l’uomo dolce che mi osserva ora, e del quale mi innamoro in questa seconda vita, e Jorge l’Amore razziato nella prima.  

-       Sei stata felice Maria in Argentina?
-       Sì. La vita me l’ha data la felicità, ma gli uomini poi me l’hanno tolta.
-       Vorrei che adesso fossi felice con me...
-       Sono felice con te Alberto, perchè sai ballare il tango. Fammi volare amore.

L’unica cosa di cui ha bisogno l’umanità è l’Amore. Ma questo ancora nessuno lo ha capito. Forse solo le donne. Le madri sicuro. L’amore è un dio minore, spesso violato dalla spietata cecità degli uomini. È un dio minore di colore rosso. No, non riesce a tenere in vita le sue creature, ma la memoria sì. Ballavamo il nostro tango. Jorge mi stringeva come fosse l’ultima volta. Anche lui obbediva al destino. Le nostre anime erano libere. Volavano. Giravamo in tondo, intorno ai nostri corpi e come occhi, fuori di essi, ci osservavamo in quella danza fatta di gelosia e corteggiamento. Concentrammo in quel breve tempo l’eterno di un amore. E la promessa immortale di una passione che palpita di sangue e linfa vitale. Non c’è niente di più simile alla vita dell’amore. Non c’è niente di più simile al tango della passione. E la passione è rossa. Rossa di fuoco e sangue. Mi parlava d’amore e di libertà. Era questo il suo destino. L’amore con me, fuoco. La libertà per la sua gente nel suo paese, sangue. Ma l’amore è un dio minore. E la libertà, invece, un bene universale per il quale lottare, così mi aveva detto quella notte che precedeva il buio delle perdite. Jorge perse la sua vita, io persi lui, ma più di tutto le donne argentine in quella sporca guerra persero i loro figli. Ma la memoria no, grazie a quel dio minore.
Quel dio minore è femmina e sa riconoscere le ingiustizie in qualsiasi parte del mondo, verso chiunque. Ora ballo sola, nonostante Alberto riesca a farmi volare, di nuovo. Jorge non è mai morto, è ancora giovane e bello, e balla il tango immortale di chi continua a subire la peggiore delle ingiustizie storiche.

Nicoletta Stecconi

giovedì 3 marzo 2011

VERITA'
 
La mia necessità di verità
in questo momento
è talmente insistente
scavante
ingombrante
che scendo in strada
sotto la pioggia
camminando scalza
forse nuda
o coperta di carta stampata
fino al mare
poi in spiaggia
ad ascoltare
assorbire
quel rumore
di onde e fango
che schianta
alla terra la voglia di osare
oltre quel moto di andare e venire
montato dal vento
che ama mischiare
quell'acqua
con sabbia e luce lunare.
Soffiare
Soffrire
Godere
Morire.
Ti giro intorno ti soffio sul viso
La luna scompare.
Il mare incalza.
Ti giro intorno ti soffio nella bocca
Parole
Parole
Ti giro intorno sorrido
Non dico parole ma sogni
L'alta marea mi copre
Non sento il fango
Ma il sale
Che è vero che è mare.
Ti avvolgo ti invito
Dimmi uomo qualcosa che sia verità
Che sia verità
come il sale nel mare.
Nicoletta Stecconi

mercoledì 2 marzo 2011

recensioni di libri mon amour

recensioni dei libri della mia vita..
quelli che hanno fatto la differenza, (mica tanto!) quelli che mi hanno fatto viaggiare nella meravigliosa e mostruosa natura umana:
buon viaggio!

http://www.sololibri.net/_Nicoletta-Stecconi_.html